Opera prima di una regista britannica, tratta da quello che poteva anche essere considerato un fenomeno sociale: un romanzo venduto nel 1966 in 5 milioni di esemplari, ispirato da una rubrica apparsa sul quotidiano inglese The Independent. Le confessioni, sull'arco di un anno, di una impiegata londinese nubile e trentenne: che, oltre che di smettere di fumare e bere, cerca di dimagrire e, soprattutto, di scovare l'anima gemella. Ma è il film, soprattutto, di Renèe Zellweger, attrice americana di origine svizzera. Che per il ruolo ha accettato d'ingrassare di una dozzina di chili; oltre che di perdere il proprio accento texano.
Perché no, mi direte. Solo, che grazie all'intervento delle solite Universal e Miramax, il caso umano in questione, quello di un dilemma più o meno attuale (basterà dimagrire per trovare l'uomo "giusto"?) è diventato cosi quello di un'attrice armata di un coraggio del tutto diverso.
Ma c'è di più: lo sceneggiatore Richard Curtis è il medesimo di QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE e di NOTTING HILL. Ora, non è che quelli fossero capolavori assoluti: bastava la successione impeccabile delle vicissitudini, l'equilibrio tutto anglosassone della mistura tragicomica, la scansione irresistibile dei dialoghi a farne delle commedie da ricordare. Qui, Renée Zellweger è molto naturale nel ruolo dell'inglese più imbranata che furba; ma cosciente di esserlo. Hugh Grant e Colin Firth l'assecondano alla perfezione nel triangolo di sempre; e la regista Sharon Maguire non fa troppi danni. Ma è il successo definito planetario a reclamare le proprie vittime: per accontentare tutti, gli equilibri sono compromessi, il tono è forzato, l'identità annacquata. IL DIARIO DI BRIDGET JONES campa sui dei gloriosi resti: ma le regole della commedia sono laboriosamente sottolineate, le situazioni infinitamente ricominciate, inutilmente esasperate. Proprio come la stazza di Renée Zellweger.